Nel 2016 non dovremmo ancora parlarne e invece…

Il razzismo riempie ancora le prime pagine dei nostri giornali. E questo è sicuramente un momento storico in cui, mentre ci interroghiamo sulla crisi europea e sull’emergenza migranti, è molto facile essere inclini a riduzioni e a semplificazioni che spesso portano a rianimare pregiudizi storici e politici.

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L’ho ripetuto più volte, la questione non può essere se essere favorevoli all’immigrazione o non esserlo affatto. Il punto è capire se si è predisposti, e quindi favorevoli, all’integrazione. E bisogna lavorarci per raggiungerla. Gli scontri di oggi al Cara in provincia di Roma, testimoniano quanto queste “sacche” di mondi “diversi” siano emarginate ancor prima di essere integrate. Questa gente viaggia sui barconi ma ci resta virtualmente, perché non riusciamo a farli sentire meno soli. Passano da un mare in burrasca a un mare di indifferenza. L’Europa non aiuta come dovrebbe, lo sappiamo. E le tensioni si fanno sempre più pericolose. Non mi piace commentare i fatti di cronaca, ma il recente assassinio del ragazzo nigeriano scampato alla violenza terroristica di Boko Haram deve invitarci a una riflessione seria e motivata.

Che la politica abbia fallito il suo tentativo di mediare l’integrazione, lo è chiaro sia a Bruxelles che a Washington, dove persino un presidente afroamericano non riesce a evitare gli scontri e le ingiustizie. Nel 2016 non dovremmo ancora parlare di razzismo, ma di integrazione. Non dovremmo parlare di guerre ma di crescita. Non dovremmo parlare sempre e solo di crisi e povertà ma di progresso e meritocrazia. E invece siamo qua a lacerarci di domande irrisolte. Ma non possiamo logorarci a lungo.

Prima capiamo che i migranti fanno parte di una guerra, di una strategia ben precisa, prima capiremo che i nemici non sono loro. E che il diverso può divenire fratello se ciò che combattiamo insieme sarà sempre e solo l’indifferenza, la violenza e il pregiudizio. Da questo sì, sentiamoci diversi, fino in fondo.

Federico

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