I numeri delle Università: siamo tra i peggiori d’Europa

Problemi seri per le nostre università. Il diritto allo studio viene garantito a una piccola quota di studenti, complici le nuove soglie Isee: quest’anno sono idonei meno di 107 mila studenti (rispetto ai 135 mila dell’anno precedente).

SCUOLA: MATURI 2012, LA META' SCEGLIE UNIVERSITA'
Studenti in aula prima del test di ammissione universitaria alla Sapienza in una foto d’archivio. ANSA / MASSIMO PERCOSSI

Parliamo di una quota sempre al di sotto del 10% quando sappiamo che, in altri Paesi, come Germania e Francia, gli strumenti di supporto allo studio salgono e coprono quasi il 40% degli studenti. Da noi poi, si sa, si investe anche meno sul futuro dei giovani. L’Italia investe nell’università appena 109 euro per abitante. Vi sembrano tanti? La Francia ne investe 303 e la Corea del Sud, giusto per fare un paragone più distante, 628.

Tutto questo, lo avevamo già accennato in un post, sottrae ricchezza al nostro territorio. Ogni euro investito nell’università frutta al territorio un euro di ritorno in tecnologia, servizi, posti di lavoro diretti e indiretti.

Con Renzi le cose non vanno meglio. Nell’ultimo anno c’è stato un taglio ulteriore ai fondi pubblici per le università, decurtando il 10% agli istituti. Negli ultimi anni, Francia e Germania, hanno aumentato queste risorse per la ricerca in quote che vanno dal +4% fino al +20%.

Forse si spiega così il crollo dei numeri di studenti in meno negli atenei italiani: sono 130 mila in meno (su un totale di 1,7 milioni) negli ultimi cinque anni. I nostri laureati si aggirano con una percentuale del 17% a fronte dei laureati europei che hanno una media maggiore del doppio. Siamo quindi i peggiori d’Europa in termini di produzione di laureati. Tra i 34 Paesi Ocse noi siamo al 26° posto per la quota di reddito nazionale destinato a ricerca e sviluppo. I dati distribuiti dalla Crui, la Conferenza dei Rettori Italiani, sono allarmanti.

Sappiamo già la crisi che sta colpendo le nostre Università al Sud e i laureati che ormai vanno altrove a cercare lavoro o per specializzarsi. Ma sul Sud occorre fare qualche premessa in più quindi mi riservo una trattazione specifica nei prossimi post. Questa è la premessa tutta italiana e non lascia ben sperare, come avrete intuito, sulle sorti del nostro territorio.

Possibili soluzioni? Semplificazione burocratica, gestione degli sprechi, legami maggiori tra università e aziende, istituti, enti pubblici e privati. Occorre inoltre investire nella ricerca e nella formazione perché, come ci ricorda l’unico dato positivo emerso dalla Conferenza, la nostra ricerca scientifica resta tra le prime 6 migliori dei Paesi Ocse, per qualità e serietà. La materia prima c’è. Manca tutto il resto.

Federico Raineri

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